L’importanza di essere un coach
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Molto spesso utilizziamo, impropriamente, i termini allenatore e coach come sinonimi ma, in realtà, sono due figure differenti. In Italia la stessa persona diventa allenatore durante l'allenamento e coach in gara. Nell'area anglo-americana, invece, il coach è la persona determinante per l'allenamento e per la gara. L'allenatore è il responsabile di tutto ciò che riguarda la formazione muscolare, l'insegnamento tecnico, la pianificazione, il controllo e la valutazione dell'allenamento. Inoltre, dà soluzioni momentanee, risposte e consigli in base alla propria esperienza e alle proprie conoscenze. Il coach, invece, si focalizza maggiormente sull'atleta e, conoscendo i suoi bisogni e le sue capacità, offre la sua consulenza e un supporto psicologico. La figura del coach è importante in tutte le tappe della crescita ma, in particolare, nel periodo della preadolescenza (11-14 anni) in quanto il giovane atleta cerca dei punti di riferimento e dei valori fuori dall'ambito familiare. Allo stesso tempo, però, questo periodo non è facile da gestire per il coach poiché l'adolescente inizia la sua metamorfosi. Il suo corpo comincia a trasformarsi, cambiano la voce e il modo di vestire e di approcciarsi agli altri, a confrontarsi e a volte a discutere con i compagni di squadra per cose futili o solo per il gusto di "atteggiarsi". Viene distratto dalla vita esterna, cominciano i primi amori e le prime delusioni. L'atleta entra in un periodo cosiddetto "nero" anche dal punto di vista del movimento perdendo le abilità acquisite nel periodo precedente, quello della fanciullezza (8-11 anni) considerato il periodo d'oro della motricità. Ed il coach deve essere vigile ed attento a tutto questo. Il suo ruolo diventa fondamentale. Secondo Papageorgiu, le qualità principali di un buon coach sono:
- Lealtà, franchezza, onestà, disponibilità al dialogo;
- Atteggiamento positivo verso tutti gli atleti, nessuna preferenza, nessun pregiudizio;
- Attenzione e fiducia reciproca tra coach e atleti;
- Individuazione e discussione immediata dei problemi che vengono a determinarsi;
- Cercare un colloquio con gli atleti;
- Mostrare lo stesso comportamento in allenamento e in gara;
Vorrei soffermarmi sul terzo punto: attenzione e fiducia reciproca tra coach e atleti. A mio parere questo è uno dei presupposti fondamentali per un lavoro e una collaborazione ottimali. Avere fiducia nel proprio coach vuol dire anche rispettare le sue scelte che non fa perché ha preferenze ma, perché sa quello che fa e lo fa per il bene dell'atleta o della squadra. Non dimentichiamo che il coach è schierato dalla parte dei propri atleti e non contro! Gioisce e soffre con loro e per loro. Se l'atleta non ha fiducia nel proprio coach può capitare che vada ad allenarsi controvoglia, che cerchi scuse e non ascolti i consigli. Un atteggiamento che lo condurrà ad uno stato psicofisico inadeguato per affrontare le competizioni e si ripercuoterà anche sulla vita quotidiana. Da ciò ne deriva che nel rapporto coach-atleta è importante oltre alla fiducia anche il confronto e lo scambio reciproco di informazioni poiché, se vi è un flusso di nozioni che va solo dal coach all'atleta e non viceversa, si impedisce a quest'ultimo di partecipare attivamente al lavoro che si sta svolgendo. Dagli ultimi studi sperimentali emerge che l'efficacia della comunicazione non verbale sia superiore a quella della comunicazione verbale, infatti solo il 10% viene trasmesso verbalmente, il 50% attraverso la presenza, il linguaggio del corpo, dunque la gestualità, la mimica e gli sguardi, mentre il restante 40% attraverso il tono e il registro della voce. Dunque se un coach impara a conoscere bene i suoi atleti sarà più facile motivarli e farli crescere e dinanzi ad eventuali crisi spronarli a non mollare.
CLAUDIA COSTA
Fonti bibliografiche: "Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano" - F. Casolo (2017);
"L'Allenamento Ottimale" - J. Weineck (2009)